domenica 12 ottobre 2014

Il colpevole è l'assassino.


Un paio di vite fa e molto, molto prima di arrivare a Vecchio e poi Nuovo Recinto, in un periodo in cui cercavo un lavoro qualsiasi per pagarmi l’affitto le bollette e il poco cibo che ingurgitavo di malavoglia, mi ritrovai a sostenere un colloquio di gruppo. La posta in gioco era una prestigiosissima postazione in un call-center.
Una tizia in tailleur rosa con un sorriso in porcellana macchiato di rossetto distribuì a ognuno di noi (eravamo una decina) un foglio dattiloscritto.
“Leggete la storia: parla di un delitto. Quando avrete finito di leggere, inizierete il dibattito. Entro un’ora dovrete essere d’accordo su chi sia il colpevole; uno di voi mi comunicherà la vostra decisione. Fate finta che io non ci sia.”
L’obiettivo era quello di capire chi tra noi avesse le maggiori capacità di persuasione, in effetti utili per convincere un pensionato alla canna del gas a comprare una fornitura d’olio d’oliva extravergine profumatissimo bastevole per sé, i figli, i nipoti che non aveva.
Ma sto divagando, torniamo al nostro delitto.
I protagonisti: lui, lei, l’altro, il pescatore, l’assassino. E già quest’elenco sarebbe bastato a dire chi fosse il colpevole, ma evitai la polemica e continuai a leggere.
Lui: marito ossessionato dal lavoro, è spesso fuori casa.
Lei: moglie innamorata e depressa, si sente trascurata.
L’altro: abita oltre il fiume, vuole aggiungere lei al suo elenco di conquiste.
Il pescatore: pesca.
L’assassino: sgozza chiunque attraversi il ponte di notte.


La storia: lui telefona dicendo che farà tardi in ufficio. Lei, stufa di trascorrere le serate da sola, cede alle lusinghe dell’altro e va a casa sua, oltre il fiume. Deve tornare a casa prima che rientri il marito. Ma sul ponte c’è l’assassino, se ne vede la sagoma alla luce del lampione e il coltello che luccica tra i denti. Così lei chiede per favore al pescatore di traghettarla sull’altra sponda; il pescatore non fa niente per favore. 
Per soldi, invece, sì. 
Peccato che lei non abbia un citto: prima di uscire si è preoccupata del suo aspetto e del suo profumo, l’unico pensiero era la seduzione, ha indossato il cappotto sulla biancheria di seta e non ha pensato che avrebbe potuto avere bisogno di denaro. 
Torna a casa dell’altro con l’intenzione di chiedergli aiuto, ma il portone è sprangato e nessuno risponde al citofono. Lei non lo sa, ma l’altro è al suo secondo round e ci sta dando dentro con la panettiera bionda che ogni mattina le vende le baguette. Se lo sapesse, non penserebbe più che è tanto simpatica. 
Di nuovo al ponte, riprova a convincere il pescatore; niente da fare. 
È tardissimo, il marito sarà a casa a momenti; dall’ombra si intuisce che l’assassino si è sdraiato sul muretto, forse dorme, forse se cammina piano non la sentirà, si leva le scarpe e zitta zitta osa: in punta di piedi e senza fiatare percorre un terzo del ponte, arriva a metà, l’assassino è immobile, lei prega che non si svegli e che il marito sia ancora in ufficio, il coltello luccica, ancora un passo, ancora due. 
Sapore di ferro in bocca, e tutto diventa buio.

Da "Corpicino" di Tuono Pettinato

“Ben ti sta,” disse uno degli aspiranti venditori d’olio d’oliva. E iniziò il dibattito. C’era chi incolpava la moglie: se fosse rimasta a casa ad aspettare il marito, non le sarebbe successo nulla. C’era chi accusava il marito: se non avesse pensato solo al lavoro, lei non avrebbe ceduto alle lusinghe del porco. Una biondina era incazzatissima col seduttore (la sua acrimonia puzzava di immedesimazione) e un tipo con l’aria da boy scout sottolineava la mancanza d’altruismo del pescatore.

Dell’assassino nessuno disse.

In questi giorni in cui Genova è di nuovo sepolta dal fango non faccio che pensare a questa storia.
A tre anni dall’alluvione del 2011 riviviamo le stesse cose: la distruzione, l’angoscia, la morte, la notte svegli a scrutare cielo e fiumi, e anche se provi un po’ a dormire non ce la fai, per il suono assordante delle sirene, per il rombo continuo delle idrovore, per la paura che il peggio debba ancora venire.
In questi giorni non si parla d’altro che della mancata allerta da parte della Protezione Civile. Vero, non c’è stata. Giovedì mattina la situazione era brutta, chiunque fosse in giro ha tremato, ma poi la pioggia si è fermata; all’una, quando sono tornata a casa, via Degola, che alle nove era allagata, era di nuovo percorribile e tranquilla. 

Via Degola, giovedì mattina

Hanno sbagliato le previsioni, sì. L’allerta è arrivata solo venerdì mattina alle undici, quando tutto già era successo, quando un uomo già era morto. Se fossimo stati avvisati prima, quell’uomo forse sarebbe vivo, qualcuno sarebbe riuscito a mettere in salvo la merce nei negozi e le automobili, la gente sarebbe rimasta a casa e non si sarebbe ritrovata a nuotare senza scarpe in un vicolo.

Probabilmente avremmo limitato i danni.

Ma l’alluvione ci sarebbe stata lo stesso.

L’errore di chi non ha saputo prevedere che in un giorno sarebbe venuta giù la pioggia di un anno non ha causato l’alluvione.

Noi che viviamo a Genova sappiamo bene che in questi tre anni è stato fatto poco e niente. I torrenti sono com’erano, non si sono visti interventi mirati a ripristinare una sicurezza che cent’anni di costruzioni folli hanno demolito.



Questa è una fotografia del Polcevera a maggio: c’è una giungla nell’alveo del torrente. E il Polcevera non è un’eccezione, la situazione è la stessa per ogni rio e torrente della Liguria. 
Si sarebbero potute fare tante cose che avrebbero reso la situazione di questi giorni meno drammatica.
Vorrei che qualcuno avesse il coraggio di dire a tutti noi cosa si doveva fare e perché non è stato fatto.
Io capisco il bisogno di prendersela con qualcuno, il bisogno di sfogare la rabbia, lo capisco perché lo sento. E va bene, incazziamoci con chi non ha saputo indovinare il nubifragio, con la Protezione Civile che non ha dato l’allerta, con quello stronzo del Sindaco che se ne stava col culo nella poltrona di un teatro, col marito stacanovista che trascurava la moglie, con la moglie fedifraga, col seduttore porco, col pescatore sciacallo.

Ma il colpevole è l’assassino.
All’assassino va fatto il processo.
L’assassino deve pagare.

E incazziamoci pure, sì, ma quella rabbia non sfoghiamola tutta. Non sprechiamola, non dimentichiamoci tutto questo non appena la situazione sarà tornata tranquilla.
Lavoro in una società di ingegneria. In una grossa società di ingegneria. E da domani voglio veder fioccare gare d’appalto per lavori di messa in sicurezza dei torrenti. E voglio che il criterio di valutazione non sia economico (cioè: vince il lavoro chi lo fa con meno soldi), voglio che il criterio sia la competenza. E non voglio sentir parlare di ricorsi dei perdenti.

Voglio che l’assassino paghi nell’unico modo possibile: facendo tutto quello che deve perché non succeda di nuovo.