Le nostre sono
vite complicate.
Da sempre.
Da quando,
bambini, nostra madre ci chiamava (È pronto! strillava) ma noi, persi dietro il
canedrago della Storia Infinita, col cacchio che la sentivamo; quando andavamo
a tavola, dopo chissà quanto, nostro fratello zio cugino s’era pappato i pezzi
migliori e a noi toccava sempre il petto di pollo.
Insipido.
Stopposo.
E lo
masticavamo ore, conservandolo nelle guance, aspettando il momento buono per
sputarlo nel cesso.
Siamo cresciuti
bianchicci. Mollicci. Miopi.
Che mentre voi arrostivate al sole i corpi
gnucchi, allenati da beach volley e windsurf, noi andavamo a caccia d’ombra e
silenzio, dietro le cabine, sotto gli ombrelloni (a mezzogiorno può essere
davvero dura) perché l’unica cosa che contava era sapere cosa sarebbe successo
a Jack Sawyer (sì, Jack. Non Tom. Jack.).
Abbiamo vissuto e
viviamo le vite degli altri più che le nostre.
Di notte, se
tendete l’orecchio, sentirete gemere i muri delle nostre case. Si lagnano. Per
tutto il peso che sono obbligati a portare, per tutti i buchi di trapano che
hanno dovuto subire.
I nostri comodini
sono schiacciati da piramidi che sfiorano il cielo come torri di Babele: ci
sono quelli finiti, che potresti pure rimetterli a posto, ma li vuoi tenere vicino
ancora un po’, ancora un altro po'; ci sono quelli da iniziare; e ci sono quelli lasciati a metà, ai
quali prima o poi potresti voler dare un’altra possibilità.
Quando partiamo per le vacanze, le nostre valigie
sono molto, molto, MOLTO più pesanti delle vostre. E spiegaglielo, alla tipa
scassacazzi di Ryanair, che per noi è VITALE girare con tutto quel peso. Prova
a dirglielo, a lei e alla sua gabbietta da valigia nana, prova. Io una volta ne
ho quasi uccisa una, di quelle tizie lì.
Quando camminiamo
per strada, ci capita che una forza invisibile misteriosa sovrumana ci obblighi
a rallentare il passo. Cambiare rotta. Andare dritti dritti dritti fino lì.
Fino al paradiso, che ci chiama, che ci rapisce per ore nei suoi gironi
(non avevamo detto Paradiso?) e quando ci sputa fuori, liberi di tornare sui
nostri passi, siamo così carichi che il gemito delle pareti di casa si sente a
enormi distanze.
Sappiamo che per
voi è inspiegabile: c’è la torre di Babele sul comodino, le pareti gementi, le
valigie ancora piene dall'ultimo viaggio. Che motivo c’è di caricarsi così ancora, e ogni volta?
Eppure, quando
andate a fare la spesa voi fate uguale. Mica andate alla Coop solo quando il
frigo è vuoto e non c’è più neppure un biscotto una galletta un petto di pollo
(puh!) in tutta la dispensa, no? E quando siete lì, davanti a ogni tipo di bontà, comprate solo ciò che serve
per il pranzo? O riempite i carrelli con quello che avete voglia di mangiare
ora più quello che potreste avere voglia di mangiare domani, ma metti poi che
invece mi va di più la pizza ai peperoni? Fate cosi, eh? Visto?
Per noi è uguale. No, per noi è peggio: non potete
saperlo, ma noi, ogni volta che un canedrago vola via, ogni volta che un Jack Sawyer se ne va, soffriamo. Ci sentiamo
abbandonati, sperimentiamo una specie di piccola morte, e quel dolore lì si
stempera in un modo solo, con una domanda sola:
e adesso cosa leggo?
A questo servono
la torre di Babele, i muri gementi, le valigie piene, i sacchetti carichi di libri nuovi, di storie nuove.
Le nostre sono
vite complicate.
Siamo bianchicci
mollicci miopi.
I nostri muri gemono,
le nostre valigie esplodono.
Mangiamo petto di
pollo puh.
Moriamo una volta
alla settimana. A volte anche due.
Lasciateci la
soddisfazione
misera
ridicola
puerile
di essere
schifosamente
SNOB.
5 commenti:
Vale, più che di 'soddisfazione' io parlerei di 'illusione'...
Questo me lo stampo e lo metto a mo' di bandiera in cima alla Torre di Babele :-)
Illusione de che?
Bellissimo! Geniale e ironico!
Non capisco chi parla di illusione.
Grazie Omonero! :)
(manco io l'ho capito! ^_^ )
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