lunedì 30 dicembre 2013

Abissonauta

Articolo pubblicato su ScubaZone n. 10

Noi femmine siamo un po’ così. Signorine Precisetti, dico. Quelle che leggono le istruzioni di tutto, pure del tostapane. Che sì, lo sappiamo che si infila la fetta e si schiaccia il pomello e la fetta poi salta fuori croccante e profumata, ma ci piace averne la conferma. Ci piace avere l’illusione di averne imparata una nuova.
Così, quando è iniziata la mia carriera subacquea (un quarto d’ora fa), al secondo tuffo già non sopportavo di emergere, arrampicarmi su quella cacchio di scaletta maledetta, liberarmi della zavorra e saltellare per la barca squittendo: “Ma l’hai visto quel coso?”
“Ma quale coso?”
“Quello lì, quel coso tra i cosi verdi.”
“Il verme con due culi?”
“Ma no, ma no, quello a palline, quello…”

Bonellia viridis

Oh insomma. Non potevo andare avanti coi COSI: dovevo sapere.

La mia terza immersione ha avuto luogo nella mia libreria preferita (che ora sta chiudendo, ma questa è un’altra tristissima storia) e sono tornata a casa, felice come una mocciosa, con l’Atlante di Flora e Fauna del Mediterraneo sotto il braccio.
Il primo colpo al cuore, il primo vero shock, sono stati i nudibranchi.

Nudibranco

Reazione uno: rabbia. Ma dico io, com’è possibile che a scuola nessuno ti racconti di creature così? Sarei stata attentissima alle lezioni di biologia, anziché scambiare bigliettini melensi col biondino fesso dell’ultimo banco. Mi sarei risparmiata una storia inutile, di quelle che quando ci ripensi ti dici ma come cacchio ho fatto a limonare con quello lì?

Reazione due: delusione. Ma allora il tizio che si è inventato i Pokemon non è un genio: è un subacqueo! Un po’ come quando sono andata un America e, seduta a un tavolino di uno Starbucks di New York ad aspettare che smettesse di piovere, mi sono resa conto che Matt Groening, il papà dei Simpson, non ha una fantasia sfrenata: è solo un ottimo osservatore.

Glaucus Atlanticus


Al Mediterraneo e le sue bestie sono seguiti gli ecosistemi degli Oceani, flora e fauna del reef, animali marini pericolosi, squali e balene, i tropici sott’acqua.

Finché un giorno un amico, un carissimo amico, uno che ringrazierò per sempre, è arrivato stringendo tra le braccia  un tomo nero: un libro sulle creature abissali, The Deep, di Claire Nouvian.
Solo a pensare a quel giorno, alla meraviglia con cui ho sfogliato quelle pagine, sento le lacrime pungermi gli occhi.

Non può essere vero, dicevo. Non può essere.

Insomma, sì, pure qui, a secco, ci sono delle bestie luminose. Che ne so, le lucciole. Belle, eh, poetiche nel loro trasformare i prati estivi in cieli stellati. Ma porco demonio, là sotto, giù giù nel buio perenne, dove le tenebre sono totali e l’ossigeno solo un’idea disciolta, viaggiano delle creature così sorprendenti che per raccontarle bisognerebbe inventare aggettivi apposta: sbrillofrilloluccicosi, diafanozannidi, gelatinosuccosi.

Ve ne racconto una tra tante: immaginate il calice di un fiore rosso carnoso, un tulipano per esempio, che termina però con una bocca sensuale e morbida come quella della Jolie. Lungo tutto il calice ci sono poi delle strisce frufrù, tipo le frange degli abiti anni trenta, che riflettono la luce (a cosa serva io non ne ho idea, visto che quest’affare vive a duemila metri di profondità) e che trasformano il corpo del bestio in un alberello di natale dei più cafoni. Non ha occhi. Non ha cervello. Caccia trascinando dietro di sé tentacoli lunghi e appiccicosi con cui cattura prede giganti che ingolla con la sua enorme bocca polposa.
Sul libro, la didascalia dice Ctenoforo non identificato.

Ctenoforo non identificato


Non identificato, già, perché si stima che il numero delle specie ancora da scoprire nei fondali profondi si aggiri tra i dieci e i trenta… mila, direte voi.
Macché.
Tra i dieci e i trenta milioni! Così dice il tomo nero che mi ha portato il mio amico, che da allora è il mio amico preferito.
Serve una misura di paragone per capire questo numero. Eccola: gli esseri scoperti finora, terrestri e marini, sono meno di due milioni.

Io l’ho battezzato quello ctenoforo, l’ho chiamato Angelina. Con quella bocca turgida, rossa, è il primo nome che mi è venuto in mente.
E dopo averla incontrata, Angelina, ho deciso cosa voglio fare da grande: l’Abissonauta.

 
Abissonauta



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