mercoledì 20 novembre 2013

La botte piena, la moglie ubriaca


Darsi alla subacquea significa rinunciare a tutta una serie di inganni.
Significa dire addio allo smalto sulle unghie (l’acqua di mare ha il superpotere di trasformare una perfetta manicure in un orrore sciatto nel giro di un’immersione); dire addio al trucco, che proprio non è il caso, e alla messinpiega. I capelli corti si asciugheranno in fretta (il vento gelido che soffia impietoso sulla chioma fracica  non è piacevole) e l’acqua entrerà meno facilmente nel cappuccio (e nel collo, e nella schiena, se usate un cappuccio integrato).

Fate pure a meno di trattenere il respiro per nascondere la pancia: il neoprene non perdona, è traditore, è spregevole: sottolinea spietato ogni rotondità e regala centimetri proprio lì, dove non servono. In compenso, schiaccia e sparpadella tette e chiappe che è una meraviglia. Io, con la mia bella muta rosa, finisco col sembrare Barpabapà.


Ma non angustiatevi: i subacquei maschi sono uomini speciali, per niente superficiali, che badano al sodo, alla sostanza, che apprezzano il fascino della donna avventurosa, della bellezza genuina.
Vi racconto, per esempio, di quella volta che…

Parco di Portofino, settembre. Giornata splendida: mare piatto, blu, neanche una nuvola in cielo, poche barche in giro. Siamo in dieci sul gommone. Io, come spesso accade, sono l’unica donna. Un po’ in imbarazzo, mi siedo lontana dagli altri e cerco di darmi un tono scrutando l’orizzonte.

“Che piacere, una donna in barca!” dice uno.
“Sì, davvero!” fa un altro, uno tutto lungo, muta indossata a metà e una patacca sulla maglietta per ogni brevetto. 
“Ci sono sempre poche donne subacquee. Come mai?”
Non so cosa rispondere, così sorrido, mi metto più comoda e mi avvicino ai miei compagni di gommone.
“Non so cosa darei perché anche mia moglie si immergesse,” continua il Patacca.
“A chi lo dici,” strilla un ciccionetto calvo. “Pensa che meraviglia: le domeniche sott’acqua, mica davanti alle vetrine di scarpe!”
Tutti ridono. Pure a me piacciono le scarpe. Cacchio, penseranno mica che giri con le pinne! Ma mi guardo bene dal dirlo, e rido anch’io.



“E poi ci pensate alle vacanze?”
“Vacanze sub senza discussioni,” dice trasognato il Patacca. E aggiunge, vocetta stridula e mano sul fianco: ”Ma io domani volevo fare il giro nel deserto col cammello e andare a bere il tè coi beduini.”
Risate grasse.
Tutti mi guardano, e io mi sento quasi gnocca, nonostante la zazzera da Gian Burrasca, nonostante le occhiaie da sveglia alle sei del mattino e la pancetta, che da quando ho smesso di fumare s’è piazzata lì e non vuole saperne di levarsi dai maroni.

Mayumi Kino

Il barcarolo strilla: “Siamo soli alla Gonzatti!”
Evviva!
I subbi mi aiutano a vestirmi: chi mi passa il GAV, chi mi infila le pinne. Non ce ne sarebbe bisogno, ma me la godo e mi lascio viziare. Capriola e olè, sono in acqua per prima.

L’immersione è di quelle indimenticabili: l’acqua è calda, la visibilità è perfetta e il mare ci mostra il campionario delle sue creature in un carnevale di colori e giochi di luce: barracuda d’argento tra centinaia di castagnole, gorgonie rosse, cernie giganti e vanitose che si lasciano ammirare, e dentici, e salpe, e corvine, e...  

Corvine
Quando torniamo sul gommone abbiamo tutti il sorrisetto ebete e appagato che segue un’immersione perfetta. Mi sfilo il cappuccio e non me ne frega un piffero di avere i capelli per aria.
“I barracuda, hai visto quanti erano?”
“Sì, cacchio, saranno stati un miliardo, lunghi due metri l’uno!”
“E le cernie, le cernie?”
“Ma quali, le due che si suonavano?”
“Quelle! Ho sperato che una ci lasciasse le pinne: me la vedevo già sul girarrosto!”
“Ahaha!”

Fa caldo però, così decido di togliermi la muta. Faccio segno al Patacca, che subito si presta ad aprirmi la cerniera, ma non smette di parlare: ha visto una murena, dice, con la testa come quella d’un leone.
L’operazione sfilamento testa dalla semistagna mi richiede sempre tempo e fatica. Pur incastrata nella muta, continuo anch’io a raccontare: “Ma quell’orgia di nudibranchi? Eh? Quanti erano, secondo voi? Cinquanta? Eh, che dite, saranno stati almeno cento, uno sopra l’altro, uno dentro l’altro e…”

Qualcuno grida: “Guardate lì!”

Sento il gommone che si sbilancia, cerco di svincolarmi in fretta, ma più mi dibatto più m’incasino. 
“Uuh,” fa uno, dalla voce forse il Patacca, e io tiro, tiro, mentre mi chiedo cosa ci sia, un delfino, un tonno, cosa sarà?
Mi libero. 
Tutti i subbi, barcarolo compreso, sono dall’altro lato del gommone e guardano in acqua, ipnotizzati.
Corro a vedere, sbilanciando definitivamente il gommone da un lato.
Ma non è un delfino. E manco un tonno: è un materassino. Un materassino rosa che porta a spasso, in balìa dei flutti, una sciacquetta truccoparrucco fresca di bigodini, con un bikini fucsia grande come un francobollo. E loro, i maschi, son tutti lì, a perdere le bave.



Sgrunt.
Chiedimelo di nuovo, Patacca, perché ci sono così poche donne subbe!





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