domenica 18 agosto 2013

AMICI!

Qualche sera fa.
Siamo a cena, io e l’Omonero, da Matteo ed Erika. 
Matteo è stato il nostro primo istruttore subacqueo. Erika oggi è sua moglie, ma ai tempi del nostro corso era la sua assistente. Lui la guardava adorante, lei lo snobbava altezzosa, ma sotto sotto, si capiva, qualcosa ardeva. Io e l’Omonero ci siamo massacrati le costole a furia di gomitate ammiccanti ogni volta che lui si avvicinava e lei non lo mordeva. Il giorno in cui - FINALMENTE, SANTIDDIO! - si sono baciati, abbiamo faticato a trattenere una ola. E meglio così, che in due non sarebbe venuta ‘sto granché.




Dicevo: siamo a cena da Matteo ed Erika. Con noi, anche Marco e Nella, che hanno iniziato l’avventura subacquea insieme a noi senza diventare però due INVASATI. Così ci chiamano, invasati. Ma lo dicono con amore, eh. Quindi va bene.

“A fine mese partiamo per Sipadan”, dice Marco. Nella sorride felice. A noi cade la mascella sul tavolo. (Per l'esattezza, la mia finisce in un piatto di squisitissimi pomodorini ripieni di bulgur, e insomma non mi posso lamentare.)
Per chi non avesse idea, stiamo parlando di questo posto qua:






“Ma credo che faremo solo snorkeling,” aggiunge.
A noi invasati piglia un colpo.
“Eeehh?”
“Neanche un tuffo?”





“Io sto tanto bene con la maschera e il costumino, senza tutta quella roba addosso! Non ci penso proprio,” dice la bella Gabbianella. Marco sembra meno convinto.
“Ecco, non so… Magari un tuffo… È che non vado in acqua da un sacco, sono arrugginito e…”
“Sabato andiamo tutti a Portofino, così riprendi confidenza. Che dici?” fa Matteo.
Io e l’Omonero saltiamo sulle sedie e diciamo sì. Marco, travolto dal nostro entusiasmo, accetta. Ma lo vedo che il semino del dubbio gli si è già posato nella mente, pronto a germogliare.

Sabato mattina. 
Sono al diving che tiro fuori la roba dalla borsa e mi sento fare “psst!”. Alzo il capino e, incorniciato dalla finestra, c’è Marco.
“Sono qui dalle undici.”
“Ma l’appuntamento era alle dodici meno un quarto!”
“Eh,” fa lui. Da come lo dice e dalla faccia che fa capisco che è in ansia. Pure l'anticipo di tre quarti d'ora mi aiuta.
“Marco, respira! Vieni giù, che ti sbaciucchio!”
"Arrivo."

Ci siamo tutti. Siamo pronti per andare al porticciolo a montare l’attrezzatura.
“Vale, Bak, Erika, volete fare un tuffo per i fatti vostri mentre io sto con Marco?” chiede Matteo.
“No no! Vogliamo stare tutti insieme!”
“Ma se io mi prendo male e voglio uscire?” dice Marco.
“Se vuoi uscire, usciamo. Ma poi non vedo perché dovresti prenderti male! Andiamo, su! Tuttinsieme, come quando eravamo piccoli!”
“Era due anni fa.”
“E tu comunque sei rimasta piccola.”
“E quando mai cresce, questa?”

Amici...




L’acqua trasparente già nel porticciolo (di solito è verde bava di drago) fa ben sperare. Si parte, direzione Altare. 

Il gommone salta e io rido come una mocciosa. Vuoi vedere che gli amici c’hanno ragione? Che non crescerò mai?




Appena entro in acqua butto la capoccia sotto: ooohhh! Quanto tempo era che non avevamo una visibilità così? 
Tutto a posto, siamo pronti, giù.

Matteo guida, Marco segue, poi noi. Non scendiamo mai sotto i venti metri ed è una meraviglia: luce, acqua tiepida, una marea di pesci. Mi ridono gli occhi.
Un grosso dentice d’argento si allontana nel blu e io lo seguo per un po’. L’Omonero è con me, gli altri sono più distanti, ma vedo bene tutto il gruppo: Matteo, che controlla, Marco, che vola tranquillo, ed Erika, come sempre immobile. E pur si muove. C’è da capire come cacchio fa.

Il dentice sparisce inghiottito dal blu, noi sorvoliamo un prato di posidonia dove una murena obesa sta schiacciando un pisolino; bella lei, cicciona, nera e gialla! 
Spunto alle spalle di Marco e gli pizzico il culo, nuotiamo tra decine di cernie chiare e scure, grandi e piccole, che oggi più che mai si lasciano guardare e avvicinare. L’acqua è densa di castagnole adolescenti mezzeneremezzeblu, banchi di salpe cagone e saraghi che se ne stanno tutti immobili ad aspettare chissà cosa. Tutti tranne uno, che sta sbocconcellando una medusa. Poraccia. A vederla così, divorata viva dal primo pesce pirla che passa, penso che mi incazzerò meno la prossima volta che sua cugina mi lascerà un segno viola sulla pelle. Ma forse, per allora, avrò dimenticato la sua triste morte e, come sempre, bestemmierò tuttisanti.

Siamo tutti allegri e scimuniti: l’Omonero canta, io l’accompagno, improvviso un balletto, faccio i dispetti a Marco che, si vede, se la sta proprio godendo. 
Mi domando se anche lui sente quello che sento io. Cioè che, quando sono laggiù, non è che sono nel mare. Quando sono lì e nuoto respiro coi pesci, io sono il mare.

A fine immersione, una giovane corvina doroedargento viene a dire ciao. Illumino ancora una parete di parazoanthus e disturbo una cernia che si era mimetizzata lì nell’ombra prima di girare, molto a malincuore, le pinne per tornare alla catena.




In sosta, per ingannare l’attesa, inseguo un sarago. O forse è lui a inseguire me, dato che ci muoviamo in tondo. 

Si torna su.
Riemerge l’Omonero, Matteo, Erika, poi io, poi Marco, che sputa l’erogatore, solleva le braccia e grida: “Che figata, amici! AMICI!”

Missione compiuta! 



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