giovedì 29 agosto 2013

Buon anniversario, amore mio


Qualche giorno fa

È Ferragosto e Nuovo Recinto chiude per qualche giorno. Ferie obbligate, e l’Omonero invece lavora. E visto che lavora sì, ma di sera, e visto che l’idea di buttare via del tempo prezioso mi fa orrore, decidiamo di fare finta di essere milanesi in vacanza (brrrr).

“Levante o ponente?”
“Boh. Mi porti a fare un giro ad Arenzano?”
“Massì.”




Partiamo. Attraversiamo la città, evitiamo di prendere l’autostrada, che in moto proprio non mi piace.
Arrivati a Multedo, vediamo un uomo volare. Salta per aria, disarcionato dalla sua Harley scintillante, e atterra sull’asfalto come una bambola di pezza. 
“È morto,” penso. 
Il cuore salta in gola e mi soffoca. Ma il tipo si rialza, quasi rimbalza, carico d’adrenalina com’è. Si ferma della gente, un tizio pieno di braccialetti della Samp chiede: “Tutto bene?”
“Sì, sì, sto bene,” dice. Perde sangue dal mento.
“Okay, allora vado, ciao.” E sparisce.
Io e l’Omonero ci guardiamo intorno: se ne sono andati tutti, siamo rimasti solo noi e il pupazzo di pezza. 
“Ti chiamo un’ambulanza,” gli dico.
“No, no, ma che ambulanza, non mi sono fatto niente. Mi aiutate a portare la moto via dalla strada?”
“Certo.”

L’Omonero spinge la moto. Io provo a fornire supporto morale. Il tizio di pezza perde sangue dal mento e da un ginocchio.
“Grazie ragazzi, siete stati gentili.”
“Macché grazie. Dove abiti?”
“A Pegli. Ora chiamo mia moglie, le dico di venirmi a prendere. Andate pure, sto bene.” Perde sangue dal mento e da un ginocchio. E non riesce a tenere su il braccio sinistro.
“No no, noi stiamo qui finché tua moglie non arriva.”
“Ma non c’è bisogno, davvero, siete gentilissimi, ma non serve.” 
L’adrenalina comincia a scendere e il tizio di pezza trema. È l’una, ci saranno cinquanta gradi e non c’è un filo d’ombra né una bava d’aria. 



“Chiama tua moglie,” dice l’Omonero. “Noi restiamo con te.”
Ci guarda sconcertato. “Un gesto raro,” dice.
Un gesto raro. Questa frase mi rimbalzerà in testa per tutto il tempo che passeremo con lui. Un gesto raro, così dice.

Chiama la moglie. Da Pegli a Multedo non c’è molta strada e con la città vuota ci aspettiamo di vederla arivare in pochi minuti. Invece, dopo mezz’ora siamo ancora lì. Il tizio trema e sanguina, ci racconta che fa l’ortopedico; prova a muovere il braccio e la maglietta si tira e aderisce al corpo: al posto della spalla c’è un avvallamento. 
Un buco. 
Un vuoto. 
Mi gira la testa. Anche a lui, che non sa più come reggere ‘sto cazzo di braccio pendulo. L’Omonero si offre di reggergli il braccio, lui accetta, fa un caldo boia e ancora non viene nessuno.

Dopo quaranta minuti, finalmente il tizio di pezza dice: “Eccola!”
La moglie, una tipetta secca, la faccia da topo, accosta e scende. Il tizio è provato e stanco, sanguinolento, con una spalla smontata, 
Lei lo fissa. Lui, timido, le dice: “Eh, sono caduto. Credo di essermi lussato una spalla. Poco male.”
“Poco male un cazzo!” sbraita lei. “Muoviti, andiamo al Galliera.”
“Ma perché al Galliera, l’ospedale di Sestri è più vicino.”
“A Sestri? Ma sei scemo?”




L’Omonero fa quella faccia lì. Quella di quando s’incazza di brutto e si trattiene. Non dice una parola, ma per un attimo temo che stia per mollarle un ceffone. Lui, che senza nemmeno conoscere il tizio di pezza, gli ha retto il braccio, gli ha fatto compagnia, l’ha rassicurato. Mentre lei, sua moglie, lo sta insultando come un cane. Vorrebbe tirarle un cazzottone, lo so. Invece dice solo: “Beh, noi ora andiamo via.”

Il tizio di pezza prova a ringraziarci, prova a dire al topo che siamo stati gentili, ma lei non ci degna di uno sguardo e va avanti e lo insacca. 
Salgono in macchina loro, saliamo sullo scooter noi. Riprendiamo il nostro viaggio verso il nostro pomeriggio da vacanzieri milanesi. Ci fermiamo in un bar a bere un bicchiere d'acqua, un caffè, un cordiale.




“Spero che il tizio di pezza stia bene,” dico io, mentre l’aria condizionata mi asciuga il sudore dalle braccia, dal collo, dalle gambe. L’Omonero gira un po’ la faccia verso di me.
“Io invece spero che divorzi.”

Oggi

Devo partire per la Sardegna, che finalmente le ferie, quelle vere, sono arrivate, e a Nuovo Recinto me la stanno facendo cagare mica poco. L’Ingegner Certocerto mi ha detto una roba tipo: “Vai in vacanza? Veramente? Oddio, siamo rovinati!”
Rovinati. Così ha detto. Eh, questo succede quando sei lo zerbino portante di una società.

La giornata è stata un inferno, è successo di tutto, lavori già chiusi e consegnati sono rispuntati come per magia, tutto da rifare, per quando? Per stasera. 
Corro come una pazza e riesco a finire a un orario decente, scappo da Nuovo Recinto prima che qualcuno si accorga di me, salto in macchina e cerco di fare mente locale.




Devo aggiornare le mappe del navigatore, scrivere l’articolo per ScubaZone, pensare a cosa voglio portarmi, capire se devo fare una lavatrice in extremis pregando che la roba poi si asciughi, controllare tutti i documenti di viaggio e...
Porcodemonio! Una macchina m' inchioda davanti, freno a pochi centimetri dal botto. M’incazzo, supero e faccio per insultare l’imbecille che ha inchiodato, ma quello che vedo mi gela il sangue: un uomo sulla sessantina sta menando una donna, la prende per le spalle, la scuote, lei apre la portiera, scende.

Accosto. E, lo ammetto, smadonno. Per un attimo penso di tirare dritto, cazzo, con tutto quello che ho da fare, ci mancava solo ‘sto casino. Ma mi vergogno all’istante di quel pensiero, mi vergogno come un ladro, come un mostro, mi viene il magone e scendo. 

La donna, ora, sta gridando. 
“Sei un bastardo!”
Urla disperata, urla così forte che la voce gratta in gola.
Mi tornano in mente brutte cose. Brutte cose.

Mi faccio forza, mi avvicino.
“Signora, le serve aiuto, vuole che le dia un passaggio, che chiami qualcuno?”
Si gira verso di me come una belva. Grida ancora, stavolta contro di me.
“Tu non ti preoccupare! Tu fatti i cazzi tuoi! Fatti i cazzi tuoi!”
Io indietreggio, mentre lei, in piedi di fianco alla macchina, infila la testa nel finestrino e ricomincia.
“Sei un bastardo! Bastardo! Bastardo!”





Lui ha la testa appoggiata sul volante. Forse piange.
Io non so che fare. Lei mi grida: “Vattene! Vatteneee!” e mi fa paura.
Risalgo in macchina, con un macigno nel cuore. 



Ora 

Sono a casa. Tra un po’ tornerà anche l’Omonero. 
Penso a noi. 
Penso alla sua faccia cinese e mi pare di  vederlo mentre mi dice: “Ehi, è tanto che ti sopporto!” 
Tanto, sì. Undici anni.
E mi torna in mente quella volta che...



E poi quell'altra... E...





Buon anniversario, amore mio.
E domani vado ad accendere un cero a San Gennaro. Anzi tre.



domenica 18 agosto 2013

AMICI!

Qualche sera fa.
Siamo a cena, io e l’Omonero, da Matteo ed Erika. 
Matteo è stato il nostro primo istruttore subacqueo. Erika oggi è sua moglie, ma ai tempi del nostro corso era la sua assistente. Lui la guardava adorante, lei lo snobbava altezzosa, ma sotto sotto, si capiva, qualcosa ardeva. Io e l’Omonero ci siamo massacrati le costole a furia di gomitate ammiccanti ogni volta che lui si avvicinava e lei non lo mordeva. Il giorno in cui - FINALMENTE, SANTIDDIO! - si sono baciati, abbiamo faticato a trattenere una ola. E meglio così, che in due non sarebbe venuta ‘sto granché.




Dicevo: siamo a cena da Matteo ed Erika. Con noi, anche Marco e Nella, che hanno iniziato l’avventura subacquea insieme a noi senza diventare però due INVASATI. Così ci chiamano, invasati. Ma lo dicono con amore, eh. Quindi va bene.

“A fine mese partiamo per Sipadan”, dice Marco. Nella sorride felice. A noi cade la mascella sul tavolo. (Per l'esattezza, la mia finisce in un piatto di squisitissimi pomodorini ripieni di bulgur, e insomma non mi posso lamentare.)
Per chi non avesse idea, stiamo parlando di questo posto qua:






“Ma credo che faremo solo snorkeling,” aggiunge.
A noi invasati piglia un colpo.
“Eeehh?”
“Neanche un tuffo?”





“Io sto tanto bene con la maschera e il costumino, senza tutta quella roba addosso! Non ci penso proprio,” dice la bella Gabbianella. Marco sembra meno convinto.
“Ecco, non so… Magari un tuffo… È che non vado in acqua da un sacco, sono arrugginito e…”
“Sabato andiamo tutti a Portofino, così riprendi confidenza. Che dici?” fa Matteo.
Io e l’Omonero saltiamo sulle sedie e diciamo sì. Marco, travolto dal nostro entusiasmo, accetta. Ma lo vedo che il semino del dubbio gli si è già posato nella mente, pronto a germogliare.

Sabato mattina. 
Sono al diving che tiro fuori la roba dalla borsa e mi sento fare “psst!”. Alzo il capino e, incorniciato dalla finestra, c’è Marco.
“Sono qui dalle undici.”
“Ma l’appuntamento era alle dodici meno un quarto!”
“Eh,” fa lui. Da come lo dice e dalla faccia che fa capisco che è in ansia. Pure l'anticipo di tre quarti d'ora mi aiuta.
“Marco, respira! Vieni giù, che ti sbaciucchio!”
"Arrivo."

Ci siamo tutti. Siamo pronti per andare al porticciolo a montare l’attrezzatura.
“Vale, Bak, Erika, volete fare un tuffo per i fatti vostri mentre io sto con Marco?” chiede Matteo.
“No no! Vogliamo stare tutti insieme!”
“Ma se io mi prendo male e voglio uscire?” dice Marco.
“Se vuoi uscire, usciamo. Ma poi non vedo perché dovresti prenderti male! Andiamo, su! Tuttinsieme, come quando eravamo piccoli!”
“Era due anni fa.”
“E tu comunque sei rimasta piccola.”
“E quando mai cresce, questa?”

Amici...




L’acqua trasparente già nel porticciolo (di solito è verde bava di drago) fa ben sperare. Si parte, direzione Altare. 

Il gommone salta e io rido come una mocciosa. Vuoi vedere che gli amici c’hanno ragione? Che non crescerò mai?




Appena entro in acqua butto la capoccia sotto: ooohhh! Quanto tempo era che non avevamo una visibilità così? 
Tutto a posto, siamo pronti, giù.

Matteo guida, Marco segue, poi noi. Non scendiamo mai sotto i venti metri ed è una meraviglia: luce, acqua tiepida, una marea di pesci. Mi ridono gli occhi.
Un grosso dentice d’argento si allontana nel blu e io lo seguo per un po’. L’Omonero è con me, gli altri sono più distanti, ma vedo bene tutto il gruppo: Matteo, che controlla, Marco, che vola tranquillo, ed Erika, come sempre immobile. E pur si muove. C’è da capire come cacchio fa.

Il dentice sparisce inghiottito dal blu, noi sorvoliamo un prato di posidonia dove una murena obesa sta schiacciando un pisolino; bella lei, cicciona, nera e gialla! 
Spunto alle spalle di Marco e gli pizzico il culo, nuotiamo tra decine di cernie chiare e scure, grandi e piccole, che oggi più che mai si lasciano guardare e avvicinare. L’acqua è densa di castagnole adolescenti mezzeneremezzeblu, banchi di salpe cagone e saraghi che se ne stanno tutti immobili ad aspettare chissà cosa. Tutti tranne uno, che sta sbocconcellando una medusa. Poraccia. A vederla così, divorata viva dal primo pesce pirla che passa, penso che mi incazzerò meno la prossima volta che sua cugina mi lascerà un segno viola sulla pelle. Ma forse, per allora, avrò dimenticato la sua triste morte e, come sempre, bestemmierò tuttisanti.

Siamo tutti allegri e scimuniti: l’Omonero canta, io l’accompagno, improvviso un balletto, faccio i dispetti a Marco che, si vede, se la sta proprio godendo. 
Mi domando se anche lui sente quello che sento io. Cioè che, quando sono laggiù, non è che sono nel mare. Quando sono lì e nuoto respiro coi pesci, io sono il mare.

A fine immersione, una giovane corvina doroedargento viene a dire ciao. Illumino ancora una parete di parazoanthus e disturbo una cernia che si era mimetizzata lì nell’ombra prima di girare, molto a malincuore, le pinne per tornare alla catena.




In sosta, per ingannare l’attesa, inseguo un sarago. O forse è lui a inseguire me, dato che ci muoviamo in tondo. 

Si torna su.
Riemerge l’Omonero, Matteo, Erika, poi io, poi Marco, che sputa l’erogatore, solleva le braccia e grida: “Che figata, amici! AMICI!”

Missione compiuta! 



giovedì 1 agosto 2013

Trentunluglio

Compiere gli anni il 31 di luglio può essere una schifezza. La scuola è finita, gli amichetti sono in vacanza, alla tua festa di compleanno non viene un cane. E rimani lì, con tuo fratello annoiato e la torta che resta intera, finché ti arrendi all'evidenza e, se non altro, ti strafoghi di Saint Honoré.

Mi sono portata dietro questa tristezza per tutta la vita, e sono anni che mi organizzo per essere, quel giorno, in una qualche parte fighissima del mondo per non dover ripetere mai più l'esperienza di un compleanno solitario. L’anno scorso ero a Lanzarote, due anni fa in Grecia, prima ancora in Sardegna; una volta addirittura a Boston, al concerto dei Depeche Mode. Lontano da qui, lontano dalla tristezza di una festa vuota.

Quest’anno succede che le vacanze si fanno a Settembre.
Quest’anno succede che il giorno del mio compleanno sono qui.
Come sempre, io lavoro di giorno, l’Omonero di sera. 
Eh no, cazzo. Non di nuovo.

Qualche tempo fa.
Siamo in macchina che sfrecciamo verso Sturla mentre Blixa canta a tutto volume che le gambe gli fanno giacomo giacomo




Grido nell'orecchio dell’Omonero.
“Ehi, ho pensato di prendermi il pomeriggio libero, il 31. Potremmo organizzare un tuffo.” 
Lui fa questa faccia:



“Che c’è? Non ti piace l’idea?”
“Mi sono preso ferie il 31. Volevo portarti fuori a cena. Così mi hai rovinato la sorpresa.”
Ups. 

Così, ieri. 
Lavoro solo di mattina e lavoro pure male, che la mia testa è già altrove, e quando esco da Nuovo Recinto saluto tutti con aria paracula.
Io e l’Omonero ingolliamo veloci una barretta dietetica mentre la mia macchinina, carica di attrezzatura che quasi scoppia, ci porta a Nervi dove ci aspetta lui, più bello che mai: riccioluto biondo abbronzato, sigarillo e sorrisetto. Sì, proprio lui: Zac.

Il diving è tutto per noi ed è una gioia poter sparpadellare la roba ovunque: gli scaffali sono tutti vuoti, le panche sono tutte vuote, i pavimenti sono tutti asciutti. 
Con tutta calma, tra un canestrello,  un bicchiere di chinotto e molte cazzate, carichiamo sul furgone le bombole e i gav e le pinne e le maschere e le torce e gli erogat... No, gli erogatori no! Il mio erogatore, io, me lo porto in braccio. Il mio tesssssoro!

Infilo la muta nuova come fosse un pigiama, e già questo basterebbe a farmi godere per l'intera giornata, ma i piaceri in serbo per noi (per me, che sono la festeggiata!) sono ancora tanti.

In sei su un gommone da venti, mare piatto e cielo pulito, siamo svaccati allegri e beati (io mi sento come l'unica volta in vita mia che ho bigiato), e non facciamo caso a un’onda bizzarra che ci corre incontro. 

Tre.

“Che spettacolo ragazzi!”

Due.

“Giornata perfetta! Che ne dite di andare alla Gonzatti?”

Uno.

Cambia il rumore.
Il gommone vola.
Io, forse troppo rilassata, non mi stavo tenendo.
Volo pure io.
Ricado, rimbalzo, parto come un proiettile e atterro dal lato opposto del gommone, in braccio a un tizio che non è l’Omonero. 










“Oddio scusa!” gli dico, mentre mi arrampico sulle sue cosce.
“Non mi è dispiaciuto mica,” fa lui, furbacchione. L’Omonero ride, ma è un modo come un altro per mostrare i denti. 

Ripartiamo, più cauti, coi gabbiani che ci svolazzano attorno tipo avvoltoi, e arriviamo alla boa. Non c’è nessun altro ormeggiato: la secca è tutta per noi. 
Gav in spalla, erogatore tra i denti, maschera sugli occhi, capriola, tutti in acqua.
“Ok?”
“Ok. Ci vediamo giù.”
Scarico e scendo come un sasso: col cambio di muta ho tolto un chilo dalla cintura, ma a quanto pare non è bastato. Gonfio subito un pochino il gav e trattengo il fiato, da non fare la figura di quella che precipita sul fondo, e resto appesa neutra in mezzo a un mare di mucillagine. 
Ohibò.
Scendiamo ancora e la situazione peggiora: a trenta metri le gorgonie sono soffocate da una coperta pelosa e lo scenario è tetro, paludoso. Pare d’essere in Louisiana.



Zac legge lo sconforto nei miei occhi, allunga una mano, acchiappa un ciuffo di mucillagine da un ramo di gorgonia e ci si fa un paio di baffoni. Sembra il figlio di Cupido e Stalin e io mi ribalto dal ridere. E ridere sott’acqua è una delle cose che più amo al mondo, perché la risata, trasformata in centomila bolle, si vede. 

Una murena infastidita dal casino sbuca dalla tana e ci grida di tutto. Vorrebbe farci paura, ma con quei tubicilli ridicoli che le escono dal naso non è credibile nel ruolo di cattiva.



Proseguiamo e, appena aggirata una sporgenza nella parete di gorgonie, un banco dorato di decine di salpe scende in picchiata, in formazione come astronavi pronte alla battaglia, e si precipita sulla distesa densa di mucillagine. 



E siamo lì a osservare le salpe e il loro brucare famelico che d’un tratto si fa buio. Alziamo le capocce e non crediamo a quello che stiamo vedendo: una sfera metallica colossale rotea velocissima su se stessa, oscurando il sole. 




Gira, gira e si avvicina, gira, poi si apre come un fiore, come un fuoco d’artificio, e si avvita, cambia forma, si ricompatta; il mare tutt’intorno frigge e noi non sappiamo dove guardare: la palla di alici, i dentici che arrivano dal blu, le cernie ciccione labbrone, il fiume giallo di salpe, le castagnole scure, le castagnole blu, stelle marine ovunque, che roba, vaccaboia, mai vista la Gonzatti così! Sembra una battaglia spaziale, sembra quasi di sentire le esplosioni!




Migliaia di pesci corrono tutt’intorno, la palla d’argento si avvicina e sputa fuori un siluro: un barracuda! Uno solo, tutto soletto, che strano. Mi guarda, lo guardo. Avanza. Occhi negli occhi, sale di quota, salgo di quota. Non riesco a staccare lo sguardo, lo seguo ipnotizzata, lo seguo finché sento che qualcosa mi trattiene: ma che cazz… 
È l’Omonero, che m’ha acchiappato per una pinna e mi sta dicendo,  con eloquente gesto partenopeo, ma dove minchia vai? E dove minchia vado? Non lo so dove vado, seguivo il barracuda io!



Scendi, fa lui col pollicione.
E va bene, scendo.

Giriamo intorno alla secca, risalendo lentamente, a spirale, mentre la battaglia interstellare non dà segno di volersi interrompere. Io non faccio che squittire di gioia, e in sosta ballo il twist. Sono l’ultima a tirare fuori la capoccia dall’acqua e per la prima volta, io che in acqua sono la più ligia, mentre arranco sulla scaletta penso che quei cinquanta bar rimasti nella bombola siano uno spreco.

La barretta ingurgitata a pranzo è evaporata da un po’ e lo stomaco brontola mentre sorseggiamo spumante e risciacquiamo l'attrezzatura al diving.
“Che fame mi è venuta!”
“Bene! Perché ci sono quintali di salsicce e bistecche pronte da grigliare a casa mia! Io vado a riportare il gommone in porto, voi andate e cominciate a preparare.”

Zac lancia all’Omonero le chiavi di casa sua. Il divertimento è appena cominciato mentre io credo di aver cambiato idea su come sia compiere gli anni a casa il 31 di luglio.