Articolo pubblicato su ScubaZone n. 10
Noi femmine siamo un po’ così. Signorine Precisetti, dico. Quelle che leggono le istruzioni di
tutto, pure del tostapane. Che sì, lo sappiamo che si infila la fetta e si
schiaccia il pomello e la fetta poi salta fuori croccante e profumata, ma ci
piace averne la conferma. Ci piace avere l’illusione di averne imparata una
nuova.
Così, quando è iniziata la mia carriera subacquea (un quarto d’ora fa), al secondo tuffo già non
sopportavo di emergere, arrampicarmi su quella cacchio di scaletta maledetta,
liberarmi della zavorra e saltellare per la barca squittendo: “Ma l’hai visto
quel coso?”
“Ma quale coso?”
“Quello lì, quel coso
tra i cosi verdi.”
“Il verme con due culi?”
“Ma no, ma no, quello a palline, quello…”
Bonellia viridis |
Oh insomma. Non potevo andare avanti coi COSI: dovevo sapere.
La mia terza immersione ha avuto luogo nella mia
libreria preferita (che ora sta chiudendo, ma questa è un’altra tristissima
storia) e sono tornata a casa, felice come una mocciosa, con l’Atlante di Flora
e Fauna del Mediterraneo sotto il braccio.
Il primo colpo al cuore, il primo vero shock, sono stati
i nudibranchi.
Nudibranco |
Reazione uno: rabbia. Ma dico io, com’è possibile che
a scuola nessuno ti racconti di creature così? Sarei stata attentissima alle
lezioni di biologia, anziché scambiare bigliettini melensi col biondino fesso
dell’ultimo banco. Mi sarei risparmiata una storia inutile, di quelle che
quando ci ripensi ti dici ma come cacchio
ho fatto a limonare con quello lì?
Reazione due: delusione. Ma allora il tizio che si è
inventato i Pokemon non è un genio: è un subacqueo! Un po’ come quando sono
andata un America e, seduta a un tavolino di uno Starbucks di New York ad
aspettare che smettesse di piovere, mi sono resa conto che Matt Groening, il
papà dei Simpson, non ha una fantasia sfrenata: è solo un ottimo osservatore.
Glaucus Atlanticus |
Al Mediterraneo e le sue bestie sono seguiti gli
ecosistemi degli Oceani, flora e fauna del reef, animali marini pericolosi,
squali e balene, i tropici sott’acqua.
Finché un giorno un amico, un carissimo amico, uno
che ringrazierò per sempre, è arrivato stringendo tra le braccia un tomo nero: un libro sulle creature
abissali, The Deep, di Claire Nouvian.
Solo a pensare a quel giorno, alla meraviglia con cui
ho sfogliato quelle pagine, sento le lacrime pungermi gli occhi.
Non può essere vero, dicevo. Non può essere.
Insomma, sì, pure qui, a secco, ci sono delle bestie
luminose. Che ne so, le lucciole. Belle, eh, poetiche nel loro trasformare i
prati estivi in cieli stellati. Ma porco demonio, là sotto, giù giù nel buio
perenne, dove le tenebre sono totali e l’ossigeno solo un’idea disciolta, viaggiano
delle creature così sorprendenti che per raccontarle bisognerebbe inventare
aggettivi apposta: sbrillofrilloluccicosi, diafanozannidi, gelatinosuccosi.
Ve ne racconto una tra tante: immaginate il calice di
un fiore rosso carnoso, un tulipano per esempio, che termina però con una bocca
sensuale e morbida come quella della Jolie. Lungo tutto il calice ci sono poi
delle strisce frufrù, tipo le frange
degli abiti anni trenta, che riflettono la luce (a cosa serva io non ne ho
idea, visto che quest’affare vive a duemila metri di profondità) e che
trasformano il corpo del bestio in un alberello di natale dei più cafoni. Non
ha occhi. Non ha cervello. Caccia trascinando dietro di sé tentacoli lunghi e appiccicosi
con cui cattura prede giganti che ingolla con la sua enorme bocca polposa.
Sul libro, la didascalia dice Ctenoforo non identificato.
Ctenoforo non identificato |
Non identificato, già, perché si stima che il numero
delle specie ancora da scoprire nei fondali profondi si aggiri tra i dieci e i
trenta… mila, direte voi.
Macché.
Tra i dieci e i trenta milioni! Così dice il tomo nero che mi ha portato il mio amico, che
da allora è il mio amico preferito.
Serve una misura di paragone per capire questo
numero. Eccola: gli esseri scoperti finora, terrestri e marini, sono meno
di due milioni.
Io l’ho battezzato quello ctenoforo, l’ho chiamato
Angelina. Con quella bocca turgida, rossa, è il primo nome che mi è venuto in
mente.
E dopo averla incontrata, Angelina, ho deciso cosa
voglio fare da grande: l’Abissonauta.