venerdì 31 agosto 2012

Prove tecniche


Due giorni fa.
Il solo ripensare a ciò che ho scritto mi fa rattrappire dalla vergogna.
Guance in fiamme, lacrime che pungono gli occhi.
Di nuovo in crisi, di nuovo a un passo dalla resa.
Cosa mi darà, da domani, la forza di alzarmi la mattina?
Proprio ora che arriva l'autunno.

L'Esperimento si ribella, fugge dalle dita e dall'eutanasia e si rintana tra le braccia dell'Omonero.

L'ultima volta che, bisognosa, gli avevo parlato delle mie insicurezze, l'Omonero mi aveva liquidato così: "È normale, vuoi dell'insalata?"

Oggi.
Pranzo a casa. Davanti a una cotoletta fritta alla perfezione, timorosa chiedo:

"E quindi?"
"Quindi bene."

Mastico un po', lui non aggiunge altro. Incalzo.

"Insomma, c'è qualcosa che non va? Perché continuo a pensare che sia piatto, senza stile; e poi uso sempre gli stessi aggettivi e..."
"Scusa, mi sa che dovrò rileggerlo. Perché mi sono fatto coinvolgere dalla storia, non ho fatto caso a queste cose."

E lo dice scusandosi.
E non lo sa che cosa più bella non me la poteva dire.

Avanti.

PS (per chi sa)
Cercavo un'immagine per questo post. Ne ho digitato il titolo, "prove tecniche", sulla ricerca per immagini di Google. La settima immagine. Segnali divini. Roba da infarto...


giovedì 30 agosto 2012

Non mi troverai


Ostenti foto di me a tre anni.
Ero ancora bionda e non sapevo niente, a parte che il forno brucia e il cactus punge.
Ho le rughe intorno agli occhi e tra le sopracciglia ora, sai?
E fili bianchi tra i capelli.
No, non si vede perché li tingo. Di rosso. Da quando avevo dodici anni. Fa sembrare più verdi i miei occhi e più giovane la mia faccia.

Mia madre mi ha insegnato una cosa: di tutto quello che non c'è, si fa senza.
Io ho fatto senza di te.
Non me la sono cavata male.


Ora sbatti i pugni sul tavolo e gridi: "Dov'è mia figlia?"
Io no so dove sia.
Ma se la cerchi bionda, non la troverai.


lunedì 20 agosto 2012

La Cattedrale



La Catedral - Lanzarote

A Lanzarote raramente la temperatura supera i 25 gradi. Ma il sole d'agosto, i 6mm di neoprene, i guanti, il cappuccio e la bombola sulla schiena rendono i cinquanta metri di strada tra il Manta-furgonetto e il molo-rampa di lancio un vero incubo fradicio. Quando arrivo alla scaletta, vedo a pois. Quando mi immergo, l'acqua, fresca e miracolosa, mi riporta in vita.
Subito, lì a uno sputo dalla riva, siamo in un acquario: nuvole di fula negra e fula blanca, saraghi zebrati grandi come padelle da farinata, pesci pappagallo che si inseguono e banchi fittissimi di sardine. L'acqua è così trasparente che mi viene il dubbio che non ci sia: in realtà, sto volando su un pianeta di sabbia bianca e roccia nera e quelle che vedo non sono volute di lava, ma sculture aliene; centinaia di anguille giardiniera sbucano interrogative da buchi nel fondale (sentinelle?), mentre le sogliole, con i loro buffi occhietti a torretta, studiano ogni mia mossa; i pesci lucertola fingono di dormire, ma... 

Lagarto
 
Bah. Io giro alla larga.
L'Omobeige mi guarda e mi fa l'inequivocabile gesto subbo che significa minchia quanti pesci!

Anguilas Jardineras

Fula Negra
 
Io vedo tutto a metà: la maschera oggi ha deciso che si appanna; la allago, la svuoto, si pulisce, si riappanna. Proseguo orba.
Da queste parti si dice abiti Felix, una cernia grande come la mia macchina, ma non abbiamo l'onore d'incontrarla. Vorrà dire che ci toccherà tornare.

Felix
 
Superiamo il gradino di rocce, ci lasciamo sulla destra un piccolo relitto densamente popolato (El Barco Hundido!) e arriviamo all'ingresso della Cattedrale. Il nome è appropriato, la grotta è davvero molto grande.
Io sono sempre mezzovedente; ciononostante, armata di torcia, rompo le palle a non pochi pescetti addormentati. Ma il vero spettacolo arriva quando giriamo le pinne per uscire: l'ingresso della Cattedrale sembra un maxischermo. Stanno proiettando un film mozzafiato: Tutti i barracuda dell'universo.  E io non ci sto a vederne solo mezzo! Esco dalla grotta e, mentre la sfilata prosegue, allago di nuovo la maschera. Inspiro dalla bocca. Espiro dal na... OPPORC...! Ho il naso tappato! Non vedo un cazzo! Aiut...
Blocco le gambette che sono già partite per raggiungere la superficie nel minor tempo possibile, pungolate da quell'istinto che, se a terra ti salva le piume, in acqua t'ammazza. Immobile, tengo a freno il panico; riprovo; si stappa piano una narice, vedo il livello dell'acqua che scende e, nella finestrella in alto, di nuovo a fuoco, c'è il faccione dell'Omobeige, pronto a intervenire. Quanto possono sembrare lunghi sette secondi?
Recupero la vista in tempo per vedere scivolare via i barracuda; in coda ci sono i piccoletti e Ben, la guida inglese, ne culla uno. Immaginario, chiaramente.
In sosta tra archi di lava, osserviamo un trio di orrendi spider-crab che si pigliano a pattoni, ammiriamo una seppia vanesia che indossa un abito tigrato molto chic, facciamo conoscenza col pejepeine e la gallinita, ci innamoriamo perdutamente di un cavalluccio.
Spider crab

Pejepeine

È ora di basta. Quanto può sembrare breve un'ora?



martedì 7 agosto 2012

Gato Doble



A Lanzarote vive GatoDoble.
È ciccione, nero e vecchio; nel pelo opaco brilla qualche filo bianco.
Puzza forte di formaggio di capra e i suoi occhi sono stranamente all’ingiù.
A seconda di quale sia la personalità che comanda, miagola esile, fa le fusa se lo accarezzi e adora le crocchette di pollo; oppure, il suo miagolio somiglia piuttosto a un rutto, se provi ad avvicinarti ti molla uno sberlone e mangia solo lucertole canarie; ma solo dopo averle torturate a lungo.
Quando morirà, lo seppelliranno sotto il vulcano. Una targa reciterà così: qui riposa GatoDoble. Lasciate i fiori solo nei giorni dispari.


venerdì 3 agosto 2012

Calima


Femès. Ristorante Casa Emiliano. La valle si stende ai suoi piedi, mentre sui monti alle sue spalle un gruppo di cabritos lecca pietre salate. Nell’aria, profumo di fuoco.
Seduto nel giardino, tra i cactus piantati nella lava nera, un vecchio. È quasi calvo, ha i baffi e il pizzo bianchi; a metà naso, un paio di occhiali rettangolari fini, di metallo. Indossa una camicia a righe azzurra, un paio di jeans enormi e sandali beige da crucco. Una stampella è appoggiata al tavolino.


La Calima trasporta la sabbia impalpabile del deserto e il cielo è una sottile coperta grigia che permette al vecchio di guardare in faccia il sole; la polvere in gola gratta, il vecchio tossisce spesso e si porta di continuo una mano al collo.
Sorseggia piano un bicchiere di vino, contando ogni sorso, e fissa la strada.
Così, ogni giorno. Aspetta. In silenzio, paziente, aspetta.
Al calar del sole, si aggrappa al tavolino, si regge alla stampella, si alza, paga il vino.
“A domani,” dice.
“A domani.”