domenica 8 luglio 2012

Back to the 80s


Evito sempre l’estate a Milano: il caldo che fa è quello dei gironi infernali, brucia l’ossigeno e ti schianta faccia a terra. Ma per i Cure tutto si può fare.
La logistica dell’Heineken è volta alla punizione di noi peccatori che, lasciata la macchina nel parcheggio, ci ritroviamo a scarpinare sotto il sole per oltre mezz’ora, circumnavigando tutta la maledetta fiera. Bisogna espiare.
Passiamo uno, due, tre controlli. Al terzo, dimentico di mostrare il contenuto dello zainetto (anelavo all’ombra, giuro, per una volta NON ero provocatoria), faccio due passi e rischio di stramazzare al suolo: un carabiniere ha agguantato il mio zaino (ha anche detto UGH!, l’ho sentito) bloccandomi il passo a mezz’aria. Per fortuna, non ho abbastanza fiato per protestare e mi limito ad aprire la zip.
“Vai.”
Vado. 
L’Omonero commenta gelido: “Cosa ti aspetti da un carabiniere?”
Già.
Attraversiamo il prato di plastica, ci lasciamo rinfrescare dall’acqua nebulizzata, ci dirigiamo sotto il palco. Stavolta abbiamo fatto i signori. Ci sono così poco abituata che, quando mi volto a guardare la gente dietro la transenna PIT, un po’ mi vergogno. E un po’ godo, lo ammetto.

L’attesa è breve e le note distorte dei Crystal Castles fanno tremare la terra. Alice ha i capelli LILLA (?) ed è più demonietto che mai: sorride svitata come il cappellaio matto, lancia sguardi truci e gira gli occhi, si lancia sul pubblico, si arrampica sulla cassa della batteria, si scola (credo) del whisky


Il duo esplode con Black Panther e un imbecille con in bocca più denti di quanti ne possa sopportare se ne esce con “ma questa è roba da discoteca!”

Diocristo.
Verrà il giorno. Verrà il giorno, dico, in cui governerò il mondo. E, ai concerti, potete giurarci, ci saranno dei test d’ingresso con botola. 
Intanto, io ballo e salto, nel modo tribale dei raver, perché il tempo è ancora il presente.
Arrivati a Not in Love tutti speriamo di veder spuntare Robert Smith. Vanamente. Ma una lacrima (la prima) mi punge lo stesso.
Alice ed Ethan escono di scena senza salutare, in scazzo cosmico. Quanto mi piacciono.

Mi siedo un po’ nel bosco di gambe e scarpe e dettagli dei tempi andati, in attesa dell’onda successiva. Che arriva: i New Order aprono con Elegia, e il tempo comincia a scivolare indietro, mentre i miei movimenti iniziano a cambiare. 

Su Isolation il cuore si scioglie, mi giro verso l’Omonero: ha la pelle d’oca anche in faccia. 
È la volta di Blue Monday, ed io e l’Omonero danziamo insieme carini, guardandoci da sottoinsù.
Love will tear us apart è la botta definitiva, lacrime (e due!) brividi ginocchia molli. Mariannaucrìa.

Altra tregua, benedetta, per raccogliere i pezzi di cuore, e siamo pronti per l’ultimo viaggio a ritroso.
Il palco si riempie di fumo. Robert Smith arriva, infila la chitarra. La camicia tira sulla pancia, la chioma cotonata non è che il ricordo di quella che era, ma…
L’imbecille con la bocca affollata, dietro di me, grida: “che vecchio!” La mia mano destra scatta a recuperare il gomito che era già partito per un colpo secco sul naso. Vedo la botola aprirsi sotto i suoi piedi e le punte d’acciaio pronte a trafiggerlo. Verrà il giorno.

Robert Smith indietreggia e sparisce nel fumo, poi avanza e Plainsong inizia.
La sua voce è sempre la stessa. E, ora come allora, mi rivolta e mi fruga dentro.
Lullaby mi immalinconisce.
Su Push e Play for today il mio corpo ricorda antiche movenze e ondeggia come un salice triste, i capelli davanti agli occhi.


Inizia Forest. Il vinile scricchiola, io sono in camera mia inginocchiata sul parquet, le calze a rete bucate, gli adorati Dr Martens ai piedi, e con un pennarello indelebile d’argento sto disegnando la faccia di Robert Smith su un ombrello da uomo. Un sospiro mi fa alzare lo sguardo e attraverso le ciocche nere vedo mia madre che mi osserva rassegnata, appoggiata allo stipite della porta: “Ed io che volevo una figlia femmina per vestirla di fiori.”
Friday I’m in love mi riporta al presente e mi toglie uno strato di malinconia; ricomincio a saltellare. Ma con Trust la faccia si inonda di lacrime (e tre!) e l’Omonero mi piglia per il culo. Gli spiego che ha a che fare con l’Esperimento e allora smette e, anzi, mi abbraccia.
I bis: Shake Dog Shake, Bananafishbones, The Top, Dressing Up, The Lovecats, The Caterpillar, Close to Me, Just One Kiss, Let's Go to Bed, Why Can't I Be You?, Boys Don't Cry.
Quasi tre ore, tre ore in cui il livello non è sceso mai.
Concerto perfetto. Impeccabile. Glorioso.
Mi inginocchio, Mr Smith. 




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